Anche qui, recensendo un libro, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, ho
tratto lo spunto per un nuovo post; visto che le vicissitudini socio politiche
abnormi e deprimenti italiane mi spingono a riflettere…
Che cosa fa di noi dei buoni cristiani?
Certamente essere coscienti dei limiti
terreni del nostro corpo ci induce a comportarci in una certa maniera, ma non
per tutti, questa maniera è uguale. C’è chi, ad esempio, sentendo di non avere,
dopo la morte, nessuna altra vita a disposizione, crede di avere il diritto di
comportarsi come meglio gli aggrada; crede che facendo tutto quello che gli
passa per la testa, avrà, per lo meno, soddisfatto le sue voglie e morirà
tranquillo e appagato. C’è invece chi, anche non credendo nello spirito,
ritiene di dover rispettare tutte le altre persone, le regole e le leggi del
vivere civile; chi si spinge ancor più in là, e vuole preservare la natura e
rispettare pure gli animali, e l’ambiente in cui viviamo, noi e loro. E che
dire di quelli che, ferventi cristiani cattolici, uccidono, rubano, spesso
membri di organizzazioni mafiose, trovano giustificazioni quanto meno fantasiose
per i loro delitti? Nulla. Certo condanniamo, ma non risolviamo il problema
legato strettamente alla coscienza che ognuno di noi ha di un certo fatto,
comportamento, modo di agire.
Spesso si dice “incoscienza”, ma non è così. E’ una coscienza diversa, che deriva
da una mancanza oggettiva, e spesso dovuta ad una mancanza di mezzi per
raggiungerla, da una coscienza empatica, la sensibilità della persona verso
fatti che non la riguardano da vicino, che le permettono di intercalarsi nelle
vicissitudini altrui, per far si che i problemi di uno siano anche i problemi
di tutti, e nel far questo ci si adoperi nel trovarne la soluzione che permetterà a tutta la specie, ed all’ambiente che la
ospita, di preservarsi.
Spesso, nella mia vita, ho cambiato idea
sulla divinità, questo soprattutto in gioventù; ma anche ora mi interrogo
sovente. Farò bene? Farò male? Nessuno può dirlo, nessuno. E’ però
assolutamente legittimo. Con il libro “Il
Vangelo Secondo Gesù Cristo”, Saramago pone, o meglio, io credo che ponga,
l’Uomo di fronte ad un quesito importante: come vivere la propria vita cessando
di essere succubi del sentire comune, liberandosi delle catene che sono le
usanze e le dottrine, i dogmi, il pensiero dominante?
Noi siamo ciò che mangiamo e l’ambiente
dove cresciamo, ma se ci vengono dati i mezzi, o i giusti impulsi, anche in
ambito familiare, possiamo sviluppare una coscienza empatica che ci permetterà
di avere un senso critico, non ci lasceremo sedurre dall’accidia del non far
nulla quando vedremo un’ingiustizia, anche se non è fatta a noi in persona.
Ed è in quest’empatia con Gesù che si
gioca la storia di questo libro; con l’empatia che si ha verso Giuseppe sin
dall’inizio del libro, che apre ad un vecchio modo di concepire il rapporto tra
gli uomini e le donne, ottuso e maschilista, e di questi con la Divinità,
ermetica ed incurante del dolore che, spesso, provoca non senza una vena di
piacere. Nello stravolgimento dei canoni cui siamo abituati sin dall’infanzia,
riscopriamo una dimensione terrena, concreta, di Gesù, il quale deve misurarsi
con una verità che si rivela, di molto, diversa da quella che ha imparato nelle
sue frequentazioni alla sinagoga; così come è piuttosto diverso il racconto cui
ci hanno abituato film e programmi dozzinali di indottrinamento, discorsi
religiosi fatti da preti e papi di ogni tempo e luogo. Ma non lasciamoci
ingannare dal discorso religioso. Il messaggio è che cercando di contrastare il
volere di chi ha un potere immenso, sempre ci si trova a mal partito. L’unica
scappatoia sarà quella di non accettare mai, fin dall’inizio, la regola che si
impone a chi vuole seguire un idea ad ogni costo. Il fine non giustifica i
mezzi quando il fine è un fine di sofferenza, ed a maggior ragione quando i
mezzi infliggono una sofferenza, un tributo di sangue che, inevitabilmente,
chiamerà altro sangue e sofferenza. Attraverso il racconto di emozioni concrete
e di avvenimenti crudi ed a volte, oltre che crudeli anche efferati nel loro
realismo, si smorza fino ad annientarsi, la favola del racconto di Natale, la
tenerezza di un racconto che solo con l’ultimo film sull’argomento “La Passione di Cristo”, se ne è capita
la gravità e la sofferenza.
Le masse non si emanciperanno mai? Anche
questa è un altro interrogativo che si pone, visto che, fin dall’alba dei
tempi, sempre ci sono state moltitudini che si uniformavano, allora come oggi,
agli interessi di potenti che inculcavano con vari mezzi il pensiero unico. Non
ci tragga in inganno il finale, che non me ne vogliate, qui svelo molto meno
truculento, e dolce, rispetto a scene descritte in precedenza: suona un po’
come uno zuccherino dato dopo le bastonate inferte ad un cristiano, che vede
svilito il nesso umano/divino per il quale dà la vita. Mancano tante cose alle quali ci hanno
abituato anni di indottrinamento, ed altre sono solo accennate, come cosa di
poca importanza. Ma la cosa strana è che non se ne sente la mancanza; la spinta
finale, la morale che se ne trae, è quella che ci dovrebbe portare, per lo meno
quelli che ancora neppure ci pensano, ad aprire gli occhi, a guardarsi attorno
e trarre delle conclusioni proprie, prescindendo drasticamente dal pensiero
maggioritario, non smorzare mai il senso critico, soprattutto verso cose che ci
stanno a cuore: occupiamoci di ciò che ci circonda con lo stesso impegno con
cui ci occupiamo di noi stessi; e se non ci occupiamo bene di noi stessi,
impariamo ad amare, ché non significa perseguire il successo personale con
qualsiasi mezzo. Se fino a questo momento abbiamo amato qualcosa con tutti noi
stessi, non vergogniamoci di ripudiarlo e denunciarlo se, dopo, ci appare in
tutto il suo inganno.