La Costituzione Italiana, Art. 3 : Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

lunedì 3 giugno 2013

Conoscenza e consapevolezza, queste sconosciute



Ma come mai ci si trova di fronte, così in Europa come in Giappone, in America come in Cina o Russia, a classi politiche che non capiscono i meccanismi semplici, basilari, per condurre i loro popoli ad una vita dignitosa, libera dal dualismo della ricchezza/povertà? Com'è possibile che essi non si rendano conto dell'uccisione inesorabile e sempre più veloce dell'intero pianeta?
Io ci ho pensato e ripensato, e l'unica risposta che ho trovato è che non ci sia una seria volontà di risolvere i problemi, che si vada, da una parte come dall'altra, nella direzione del controllo delle masse, attraverso l'allargamento della forbice ricco/povero; che ci sia invece una volontà perversa di appropriarsi di tutto il possibile, cieco della rovina che si lascia dietro? Troppo facile: non credo nel male fine a se stesso, soprattutto a livelli nazionali e sovranazionali.
Insomma, non ci credo che questi governanti siano così ciechi, così sprovveduti; credo piuttosto che perseguano, burattini, il fine di qualcun altro, che non ha niente a che fare col bene comune; ma le cose che vanno avanti, nell'ignoranza e nell'indifferenza generale e che fanno male alla collettività, sono veramente tante.

Solo conoscere, comprendere il significato e le implicazioni che ha ogni nostra scelta, piccola o grande che sia, quindi interrogarsi quotidianamente sul proprio stile di vita e sulle proprie prese di posizione, ci permetterà di crescere e di cambiare il mondo.


lunedì 15 aprile 2013

Vittorio Arrigoni - 99 Posse


martedì 26 febbraio 2013

se niente importa (non c'è niente da salvare)


Pagina 100[*] 
Io sono il tipo che si ritrova nella fattoria di un estraneo nel cuore della notte
Il piccolo tacchino che ho eutanasizzato nel nostro salvataggio, quello sì che è stato duro. Uno dei lavori che ho fatto, molti anni fa, è stato in uno stabilimento di polli. Facevo l'uccisore di riserva, vale a dire che era mia responsabilità tagliare la gola ai polli che sopravvivevano al tagliagola automatico. Ho ucciso migliaia di polli in quel modo. Forse decine di migliaia. Forse centinaia di migliaia. In quel contesto perdi traccia di qualunque cosa: dove sei, che cosa stai facendo, da quanto lo stai facendo, che cosa sono gli animali, che cosa sei tu. È un meccanismo di sopravvivenza che ti impedisce di impazzire. Ma è proprio questa la sua follia intrinseca.
Grazie a quel lavoro alla linea di macellazione, conoscevo l'anatomia del collo e sapevo come uccidere quel pulcino all'istante. E ogni parte di me sapeva che era la cosa giusta da fare per sottrarlo alla sua miseria. Ma è stata dura, perché non era in una linea di migliaia di gallinacei pronti alla macellazione. Era un individuo. In questa prospettiva tutto diventa difficile.
Io non sono un'estremista. Sono quasi sempre una moderata. Non ho piercing. Non ho una pettinatura strana. Non faccio uso di droghe. Politicamente parlando, sono progressista su alcuni argomenti e conservatrice su altri. Ma vedi, l'allevamento intensivo è un argomento da moderati, qualcosa su cui quasi tutte le persone ragionevoli si troverebbero d'accordo, se avessero accesso alla verità.
Sono cresciuta in Wisconsin e in Texas. Vengo da una famiglia normalissima: mio padre andava (e va) a caccia, tutti i miei zii mettevano trappole e pescavano. Mia madre cucinava l'arrosto tutti i lunedì sera, il pollo ogni martedì e via discorrendo. Mio fratello gareggiava nei campionati statali di due sport.
La prima volta che fui messa di fronte alla questione dell'allevamento fu quando un amico mi mostrò dei filmati di bovini al macello. Eravamo ragazzini ed era solo una merdata oscena, come quei film delle Facce della morte. Lui non era vegetariano – nessuno era vegetariano – e non stava cercando di farmi diventare vegetariana. Era solo per ridere.
Quella sera a cena avevamo cosce di pollo, e io non riuscii a mangiare la mia. Mentre tenevo l'osso in mano, non mi sembrava carne di pollo, ma un pollo. Avevo sempre saputo che stavo mangiando un individuo, credo, ma la cosa non mi aveva mai colpito. Mio padre mi chiese che cosa c'era che non andava e io gli raccontai del video. In quella fase della mia vita, prendevo tutto quello che mi diceva per oro colato ed ero sicura che sapesse spiegare qualunque cosa. Ma tutto quello che mio padre riuscì a tirare fuori fu una cosa del tipo: «Brutta storia». Se si fosse fermato lì, forse adesso non sarei qui a parlare con te. Ma ci fece sopra una battuta. La stessa battuta che fanno tutti. Da allora l'avrò sentita un milione di volte. Fece finta di essere un animale che piange. Per me fu una rivelazione, e mi mandò in bestia. Decisi di punto in bianco che non avrei mai fatto una battuta davanti a qualcosa che non sapevo spiegare.
Volevo capire se quel video era un'eccezione. Probabilmente volevo una scappatoia che non mi costringesse a cambiare la mia vita. Così scrissi a tutte le aziende agricole più importanti, chiedendo di poterle visitare. Sinceramente non mi passò neppure per la testa che potessero dire di no o evitare di rispondere. Non ottenni nulla, così cominciai a girare in macchina chiedendo a qualunque allevatore che incontravo se potevo dare un'occhiata nei suoi capannoni. Avevano sempre una ragione per rifiutare. Considerato quello che fanno, non li biasimo se non vogliono che nessuno veda. Ma considerata la loro reticenza su un aspetto così importante, chi può biasimare me se sentivo l'esigenza di fare le cose a modo mio?
La prima fattoria in cui sono entrata di notte produceva uova, aveva forse un milione di galline. Erano stipate in gabbie accatastate una sull'altra. Ebbi bruciori agli occhi e ai polmoni per giorni. Fu meno cruento e sanguinoso di quello che avevo visto nel video, ma mi colpì ancora di più. Quello mi cambiò davvero, quando mi resi conto che una vita atroce è peggio di una morte atroce.
L'azienda avicola era tanto orrenda che pensai che anche quella dovesse essere un'eccezione. Probabilmente non mi capacitavo che si permettessero cose simili su così larga scala. Così andai in un'altra fattoria, un allevamento di tacchini. Per caso arrivai proprio pochi giorni prima della macellazione, per cui i tacchini erano al massimo della crescita e così pigiati l'uno sull'altro da non riuscire a vedere il pavimento. Erano completamente impazziti: frullavano le ali, gloglottavano, si attaccavano l'uno con l'altro. C'erano tacchini morti dappertutto, e altri moribondi. Fu triste. Non ero io ad averli messi lì, ma mi vergognai di essere una persona. Dissi a me stessa che doveva essere un'eccezione. E andai in un'altra fattoria. E in un'altra. E in un'altra ancora.
Forse insistevo perché in fondo non volevo credere che quanto avevo visto fosse la norma. Ma chiunque si preoccupa di conoscere queste cose sa che gli allevamenti intensivi sono quasi l'unica realtà. La maggior parte delle persone non ha la possibilità di vederli con i propri occhi, ma può vederli attraverso i miei. Ho filmato le condizioni degli animali in aziende avicole per la produzione di uova e per la produzione di polli e tacchini da carne, in un paio di impianti suinicoli (ormai è sostanzialmente impossibile entrarci), allevamenti di conigli, stalle per vacche da latte e recinti da ingrasso per bovini, aste di bestiame e camion da trasporto. Ho lavorato in alcuni impianti di macellazione. Sporadicamente il filmato raggiungeva il telegiornale della sera o i quotidiani. Qualche volta li hanno usati in tribunale nei processi per i maltrattamenti sugli animali.
Per questo ho accettato di aiutarti. Io non ti conosco. Non so che tipo di libro scriverai. Ma se in qualche misura farà conoscere ciò che succede negli allevamenti intensivi, sarà solo positivo. In questo caso la verità è così potente che la prospettiva da cui ti poni non ha importanza.
Comunque, vorrei assicurarmi che quando scriverai il tuo libro non darai l'impressione che io non faccia altro che uccidere animali. L'ho fatto quattro volte, solo quando non c'era altro da fare. Di solito porto gli animali più malmessi dal veterinario. Ma quel pulcino era troppo malato per essere spostato. E stava soffrendo troppo perché lo lasciassi vivere. Guarda, io sono per la vita. Credo in Dio, credo nel paradiso e nell'inferno. Ma non ho alcuna venerazione per la sofferenza. Negli allevamenti intensivi calcolano quanto possono tenere gli animali vicino alla morte senza ucciderli. È questo il loro modello di business. A che velocità possono farli crescere, quanto possono pigiarli, quanto o quanto poco possono mangiare, quanto possono ammalarsi senza morire.
Non stiamo parlando di sperimentazione sugli animali, nel qual caso puoi pensare che la sofferenza venga compensata da un vantaggio. Parliamo di quello che ci va di mangiare. Dimmi una cosa: perché il gusto, il più rozzo dei sensi, è dispensato dalle regole etiche che governano gli altri sensi? Se ti fermi a pensarci, è una cosa da pazzi. Perché un arrapato non ha il diritto di stuprare un animale mentre un affamato ha il diritto di ucciderlo e mangiarlo? È facile liquidare la domanda, ma è difficile darle una risposta. E come giudicheresti un artista che mutilasse gli animali in una galleria perché fa colpo visivamente? Quanto dev'essere affascinante il suono di un animale torturato per volerlo sentire a tutti i costi? Prova a immaginare una qualunque altra finalità, a parte il gusto, per cui sarebbe giustificabile fare quello che facciamo agli animali d'allevamento.
Se io abuso del logo di una grande azienda, potrei persino finire in galera; se una grande azienda abusa di miliardi di polli la legge non protegge i polli, ma il diritto dell'azienda di fare quello che vuole. È questo che succede quando si negano i diritti degli animali. È pazzesco che l'idea dei diritti degli animali sembri pazzesca a qualcuno. Viviamo in un mondo che considera normale trattare gli animali come pezzi di legno e considera estremistico trattare gli animali come animali.
Prima che venissero introdotte le leggi sul lavoro minorile, esistevano aziende che trattavano bene i loro operai di dieci anni. La società non ha proibito il lavoro minorile perché è impossibile pensare che i bambini lavorino in un ambiente sano, ma perché dare a un'azienda tutto quel potere su individui inermi è una depravazione. Pensare di avere più diritto a mangiare un animale di quanto ne abbia l'animale a vivere senza soffrire è una depravazione. Non sono ragionamenti astratti. È questa la realtà in cui viviamo. Guarda che cosa sono gli allevamenti intensivi. Guarda che cos'ha fatto la nostra società agli animali non appena ne ha avuto il potere tecnologico. Guarda che cosa facciamo effettivamente in nome del «benessere degli animali» e del «trattamento umano», e poi decidi se sei ancora disposto a mangiare carne.





 [*]da pagina 100 - (splendida testimonianza che rivela tutta la contraddizione del nostro modo di nutrirci e di rapportarci con gli altri esseri)

"Se niente importa - perché mangiamo gli animali?"
Jonathan Safran Foer - le fenici, prima edizione marzo 2011

mercoledì 16 gennaio 2013

Quale rinnovamento?


L’uomo non sta mai fermo, o lo sta troppo. È così: sta nella sua natura. Nel suo continuo e laborioso agire, o nell’ozio e nel disinteresse delle masse, trova compimento la volontà nefasta volta ad un rinnovamento che stia al passo coi tempi, che annichilisca sempre più chi vorrebbe un progresso benevolo  e che arricchisca di violenza, di soprusi e coercizione il pianeta che, affidata la sua sopravvivenza alla resilienza, dispensa sempre più catastrofi nel disinteresse generale delle masse suddette, che si nutrono di sensazionalismi di un minuto per poi rifiondarsi nell’oblio a cui la vita cosiddetta moderna ci costringe. Non passa un giorno senza che vi sia una promessa, la rassicurazione di un cambiamento, di un rinnovamento, subito seguita da notizie di cronaca nera o di incidenti terribili, di fazioni politiche che si dileggiano, sempre avendo sulla bocca la promessa di un rinnovamento; perciò io chiedo: quale rinnovamento?

Quello dei partiti, sempre gli stessi, che cambiano il nome o la grafica, il disegnino;
dei nuovi capi politici che ora sono antipolitica, ora politica, poi ti cacciano e non vogliono un contraddittorio e ti vietano di volerlo;
quello dei siparietti, fintamente diversi;
dei posti di lavoro, moderni lager, campi di concentramento dove ti devi solo concentrare sul lavoro e mandare giù rospi;
del “meglio avere un lavoro”, anche se ti ammala e ti fa vivere come una bestia;
quello della disoccupazione, che stritola sempre più la classe sociale più debole ed esposta al flagello di una classe dirigente che non vuole far nulla per provvedere;
quello di programmi TV, sempre fedeli a se stessi, alla linea, alla menzogna, a tutto fuorché alla realtà,  fuorché ai problemi veri;
quello dello spread, della nuova economia globale che calpesta la dignità dell’uomo e della natura, che calpesta il semplice buon senso;
quello dell’odio, dell’oblio del dolore, della negazione dei cambiamenti climatici e, quando ormai innegabili, dell’ignorarli e occuparsi di altro;
quello della guerra, della costruzione di armi, dell’inquinamento;
quello dell’ignoranza, della pigrizia, dell’indifferenza, che impedisce un’evoluzione sana;
dell’ignoranza che ti fa impigrire, poi la pigrizia ti rende indifferente, e l’indifferenza lascia il campo libero al rinnovamento delle politiche nefaste che ci getteranno sempre più nell’ignoranza, che ci impoveriranno;
dell’austerity?

Quale rinnovamento?
Di una classe dominante che nega la possibilità di un futuro a miliardi di persone;
di un sistema che impernia il suo sviluppo su carta straccia;
dell’intolleranza;
dell’impossibilità di vivere senza violenza, senza scontri, senza ansie di guerre e crimini di ogni genere;
del proliferare di mentalità deviate, che vedono nell’altro il proprio nemico;
del “ti fotto prima io”;
della vita malsana che si continua a fare;
quello dell’antropocentrismo, che da centinaia di anni sta devastando ogni cosa, ed acquista sempre maggior forza;
il rinnovamento di un essere umano che si crede al centro dell’Universo e per questo si sente in diritto di farne ciò che vuole, anche di sopraffare i propri simili, danneggiare irreparabilmente vita e ambiente;
rinnovamento della violenza; intolleranza; stupidità; tecnologia; guerra; inganno; corsa alla sopraffazione; autodistruzione;
del pensare stupidamente, ma con modernità;
del farsi abbindolare con superbia;
dell’odiare chi non si fa abbindolare;
del continuare a praticare stili di vita che hanno un costo insostenibile sia per la collettività umana che per la resilienza ambientale?
Quale?

Al momento non vedo nessun altro tipo di rinnovamento se non quello delle qualità, delle azioni, dei sentimenti sopra scritti, del perpetuarsi di quest’antropocentrismo che ci attanaglia, e del quale siamo tutti responsabili, nessuno si senta escluso.