La Costituzione Italiana, Art. 3 : Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Libri

In questa sessione del blog, voglio pubblicare le mie recensioni dei libri che ho letto, con una conseguente possibile discussione sui libri in oggetto. Le recensioni saranno prima pubblicate sullo spazio che gestisco su aNobii.com e conseguentemente copiaincollate nel blog.


Un paese senza tempo di Concita De Gregorio

Nell'universo politico nel quale viviamo, ormai, soventi sono le continue dichiarazioni di personalità che, il giorno dopo, non esitano a dichiarare esattamente l’opposto; con disinvoltura si passa da uno schieramento ad un altro; ciò che oggi è dato per certo, nel volgere di poche ore, cambia connotazione in maniera tale da essere irriconoscibile. È estremamente raro un politico che mantenga una linea coerente con il pensiero col quale ha iniziato la sua carriera, i cambi di casacca, in somma, sono all’ordine del giorno.
In questo caos si rende molto utile il libro di Concita De Gregorio, nel riportare le cronache dettagliate di una politica camaleontica, nel periodo che va dal 1992 al 2008, attraverso le dichiarazioni dei politici di ogni schieramento, le mosse di palazzo, i battibecchi interni ed esterni che coinvolgono le istituzioni e che non di rado sfociano nel volgare insulto, ed ancora, non di rado, coinvolgono la vita privata dei protagonisti del parlamento e delle più alte cariche consiliari, arrivando a delineare, in questa deriva politica, il Paese senza tempo.
La criticità messa in evidenza dalla De Gregorio, coinvolge indistintamente destra e sinistra; non si accontenta di stilare un elenco degli errori, fa di più: riporta i fatti, lasciando al lettore il compito di giudicare, di capire l’iniquità della classe dirigente, e lo fa con dovizia di particolari ma in un contesto di mirabile sintesi giornalistica, per cui gli articoli non sono mai troppo lunghi, anche se, alcune volte, l’intreccio è talmente involuto, machiavellico, da lasciare stupiti per la complessità delle manovre di palazzo; manovre che altrettanto spesso non hanno che l’effetto di favorire solamente chi le escogita, lasciando all’abbandono la politica del Paese, in un delirio di onnipotenza che, pare, abbia ormai avvolto i nostri dirigenti, costringendo all’oblio le nostre coscienze ed allontanandoci sempre più dalla partecipazione alla costruzione del nostro futuro.
Qui non si tratta di leggere un libro che critica le scelte di chi fa politica; sarebbe sbagliato approcciarsi a questa lettura con tale spirito. In questo libro si può leggere una sintesi della cronaca politica degli ultimi quindici anni ed, ognuno, trarne le proprie conclusioni che, a prescindere dallo schieramento politico a cui si appartiene, pregiudicheranno invariabilmente le valutazioni di professionalità, di coerenza, di dedizione alla causa Pese/Stato; è mostrato, in pratica, il mancato adempimento a promesse e giuramenti fatti davanti ai cittadini ed alla Costituzione, costringendoci in un turbine di menzogne fatte di dichiarazioni e successive smentite, che non hanno che il compito di confonderci, relegandoci a semplici spettatori, in un Paese senza tempo dove non abbiamo più nessuna voce in capitolo ed a dettare le regole della nostra vita sono un manipolo di politicanti senza scrupoli, che, di continuo, fanno carte false pur di non abbandonare il loro privilegio.
Questo è il Pese senza tempo, un Pese che stenta a crescere, che, anzi, degrada: lo vediamo ormai ogni giorno come, il mancato impegno della politica a favore della comunità, stia creando una situazione sempre meno sostenibile, con larga parte della popolazione che per arrivare a fine mese deve fare i salti mortali, ed il tutto, sorbendosi le diatribe politico/affaristiche dei partiti, che nulla hanno di meglio da fare che cercare ogni maniera per consolidare il loro potere, tra ricatti e compravendite, tra dichiarazioni e false promesse, decreti che hanno quasi un tono di minaccia, ma prontamente boicottati se dovessero veramente servire a qualcosa di buono. Il dileggio tra parti avverse è pratica quotidiana, rivelando il degrado anche dialettico che accompagna quello istituzionale.
Ovviamente di questo degrado ne siamo in gran parte al corrente, ma è un esercizio utile a riattivare lo spirito critico, per cui è consigliabile la lettura per chi avesse ancora qualche riserva sulla pochezza della nostra classe politica. Oppure per chi si vuole, con un pizzico di masochismo, divertire nello scoprire gli altarini con i quali si è perpetuato il potere negli ultimi vent’anni. 



Pappagalli verdi di Gino Strada


Cosa sono i “Pappagalli verdi”, forse non è subito così chiaro; dove ci vuole portare questo libro, almeno per chi ha sentito nominare Gino Strada, questo è intuibile. Diviene estremamente chiaro per chi conosce Emergency. E poi c’è l’immagine di copertina che lascia ben poco spazio all’immaginazione.
La sorpresa si ha nel leggerlo, questo libro; la sorpresa nello scoprire quanto squallore ci può essere anche nei rapporti tra le organizzazioni umanitarie, nello scoprire come la guerra sia soprattutto un affare, di come siano sempre i più indifesi a subire la parte peggiore del conflitto, che per loro si protrae anche decenni dopo la fine delle ostilità grazie alle semenze meccaniche che gli eserciti lasciano nei territori, non attendendo altro che un piede incauto per maturare il loro frutto di morte.
Gino Strada
Ma quello che più indigna è la denuncia dell’enorme giro di affari che una guerra genera, con ingegneri progettisti che operano anche dall’altro capo del mondo, ma che non si fermano di progettare come dovrà morire Alphonsine, Jamal o Sirwan.
La disperazione di queste popolazioni che spesso attanaglia anche chi, come Strada, non riesce ad esimersi dallo spendersi per cercare di aiutare queste persone dilaniate non solo nel corpo, nel libro viene fuori tutta, genera indignazione e presa di coscienza.
Che quella disperazione colpisca anche questi volontari non dovrebbe meravigliarci, ma quando sfocia in atti estremi, di autolesionismo, rattrista molto, non lo si crederebbe possibile. Ma l’essere umano è fragile, ed il reiterarsi di certe situazioni può incidere anche su chi sembrerebbe ormai immune.
Non si può, a mio avviso, raccontare troppo questo libro, un insieme di racconti, spesso agghiaccianti, che non ha una cronologia in quanto è stato scritto rispettando il tempo con cui i ricordi affioravano nella mente dell’autore; lo si può leggere e sentirsi più vicini a Gino Strada; lo si può acquistare sapendo che i proventi del libro andranno ad un’organizzazione non pubblicizzata, ad una delle più coinvolte organizzazioni umanitarie, che, temerariamente, ogni giorno, è in prima linea nella difesa del diritto alle cure mediche di qualsiasi essere umano, di qualsiasi schieramento sia, in qualsiasi posto del mondo essi si trovino.
Ecco cos’è Emergency e chi è Gino Strada. 


L'ultima riga delle favole di Massimo Gramellini


A metà strada tra romanzo e favola, questo racconto svela alcuni tratti interessanti e romantici dello scrittore. Nel simbolismo delle “terme dell’anima” trova lo spunto per la narrazione di un percorso interiore che porta alla scoperta di sé, che con molti dubbi e ripensamenti, con parecchie lotte nelle quali il protagonista deve affrontare le sue fragilità, egoismi e paure, alla fine arriva ad una comprensione di se stesso, impara ad amarsi e quindi ad amare.
Ma non come nell’ultima riga delle favole, che con un “
e vissero felici e contenti” si conclude un racconto come se dopo non ci fosse più nulla, l’appiattimento irreale della vita che lascia un amaro in bocca in quanto tralascia lo scorrere del tempo come se non esistesse; invece qui, pur essendo fantasioso e ricco di allegorie magiche, di rituali meticolosamente impossibili, che si svolgono in scenari un po’ troppo difficili da immaginare, il personaggio centrale, poi, dovrà fare i conti con la realtà, anche se da uomo nuovo.
Avrà certamente più chiari i suoi obbiettivi, ma dovrà ancora lottare per raggiungerli. Sarà però una lotta di affrancamento, non di conquista. Uno spunto per crescere, per evolvere dallo stato comatoso in cui, la sua vita, fin’ora era rimasta.
Certamente, dal punto di vista letterario, non sembra sia un’opera capolavoro, ma la scrittura immediata, la soavità dei personaggi, ne fanno un libro come direbbe Gramellini, dalla copertina bianca, ossia un libro che parla al cuore con elementi positivi, che offre un momento di sana evasione senza mancare di far riflettere, tenendo sveglia la mente.
Ci pone, l’autore, di fronte al quesito:
 amiamo noi stessi come condizione che preluda all’amore verso gli altri? E leggendo queste righe vediamo che spesso non è così. Spesso siamo preda, vittime delle nostre stesse paure, che ci impediscono di valutare con attenzione ciò che ci circonda, gli avvenimenti, le persone.
Non siamo in grado di cogliere l’attimo, e questo può essere un libro che aiuta ad avvicinarci a quella condizione, che è prevalentemente interiore, di consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità; consapevolezza che enormemente può aiutarci a condurre una vita migliore, quantomeno a condurre una vita nella quale non aver rimpianti. Lo fa come una favola, ciò non di meno trovo importante questa lettura, in un contesto come il nostro, di lotta sociale, di scontro politico in cui ogni giorno si registra una crescita dei toni del poco dialogo che c’è, ed una disaffezione, da parte della gente, dalle cose che invece dovrebbero interessarla maggiormente. C’è bisogno anche di queste letture, per ritrovare nei confronti della vita, una serenità necessaria alla salvaguardia della mente. Anche se non ci condurrà mai, è bene ribadirlo, ad una storia che si concluda come “
L’ultima riga delle favole”. 


Sulla lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebelsky


Indagare la dialettica propria di un dato periodo storico, ci rivela questo libriccino di poco più di cinquanta pagine, è tutt’altro che un esercizio inutile. Devo dire, da parte mia, che, soprattutto negli ultimi anni, avevo notato un ripetersi delle formule, dei modi di dire, financo delle singole parole, nella bocca di cotanta classe politica. Ma, non fosse che per il significato vero che la parola ha, non ci sarebbero obiezioni. Proprio qui entra in ballo l’analisi di Zagrebelsky, che svela, con parole comprensibili a tutti, il cambiamento dei significati, spesso uguali e contrari, attribuiti a ciò che viene detto; e lo fa in maniera esemplare, mettendo su carta concetti di difficile spiegazione, che diventano, qui, chiari, apparendo nella loro drammatica realtà: quella di un potentato che cerca, attraverso il linguaggio, di far pensare al popolo quello che fa più comodo a chi sta al potere, ricacciandoci così verso un ventennio mai pienamente compreso nel suo fallimento costato sempre troppo in termini umani, soprattutto, ma anche, e non meno importante, in termini politici.
G. Zagrebelsky
Il parallelo che Zagrebelsky fa con il linguaggio usato dalla propaganda nazista, centra pienamente il problema. Egli cita Viktor Klemperer, dal suo saggio sulla lingua del nazismo “La lingua del Terzo Reich”, dove Klemperer chiama quel linguaggio LTI (Lingua Tertii Imperii, che sarebbe lingua del terzo impero, reich in tedesco), e lo traduce in LNAe (Lingua Nostrae Aetatis, la lingua del nostro tempo), meno tragico, ma non meno significativo, e drammatico, nel tentativo coercitivo di una classe dirigente di imporre, attraverso il linguaggio, un’omologazione del pensiero e del sentire comune, una vera espropriazione dei significati delle parole, con la relativa generazione di contrasti violenti che esulano totalmente dal normale conflitto che ci deve essere in una Democrazia, ma che non dovrebbe mai avere connotati tali da determinare fratture insanabili tra la gente, la quale si trova ad essere o dalla parte dell’odio o da quella dell’amore (LNAe). A volte basterebbe soffermarsi sui toni con i quali, certi proclami, vengono enunciati. Molto significativo il capitolo sui “doni”, strumento inequivocabile per far cadere in una situazione di sudditanza qualsiasi soggetto, tanto più se ignorante, ma, ancor più esemplare, se ricattabile.
Tutti gli esempi di questo libro sono volti a far comprendere quanto subdola ed affilata sia l’arma del linguaggio, e quanto sia semplice metterla in atto nei confronti di una popolazione impreparata; ancor più grave si prefigura il quadro storico se si pensa, forti dei fatti che ci vedono protagonisti in esso, a come si stia operando per affossare tutte le armi principali atte a difendersi che una persona può maturare nel corso della propria vita, a partire dall’istruzione e dall’informazione, ma arrivando a mortificare i beni culturali e la cultura in genere, attraverso l’affermazione forzata di falsi modelli culturali e individuali, mortificando lo status sociale, ben sapendo che menti poco reattive sono molto più facilmente plasmabili.
Grazie a Gustavo Zagrebelsky, per questo vademecum sulla lingua del tempo presente. 





Così in terra, come in cielo di Don Andrea Gallo

Libro straordinario.
Detto così, lo so, è retorico, ma devo necessariamente spendere qualche parola iniziale, qualche parola che mi sorregga, poi, nell’avventura che la descrizione di questo libro rappresenta. È imbarazzante trovarsi, in alcuni passi, con la lacrima che vuole sgorgare, ma il messaggio di crescita spirituale, di ricerca, nell’animo umano, di ciò che di meglio ci può essere, traendone sempre un insegnamento, è potente e lucido, privo di qualsiasi retorica; così come anche la denuncia delle incoerenze che ci circondano, a partire dalla Chiesa: lo splendido esempio di Hebe Bonafini, con la sua denuncia nei confronti del monsignore Pio Laghi, che fu nunzio apostolico in Argentina alla fine degli anni ’70, è uno dei piccoli grandi racconti di Don Gallo; Hebe rifiutò un dono da parte del Papa a causa del fatto che, nonostante si sapesse che Pio laghi fosse stato a conoscenza dei massacri del regime e ne condividesse modalità ed organizzazione, fosse ancora protetto dal Papa e dalla Chiesa: una cosa inammissibile. Ma va oltre la denuncia sociale, che pure c’è ed è potente, infatti Gallo è l’amico dei derelitti e dei galeotti, dei drogati e di tutte quelle persone che hanno più bisogno di una parola di conforto e di un atto di altruismo; Gallo ci spiega come a volte, molto semplicemente, spesso con una parola, si possa dare la speranza. Certo che poi, se la parola è Don Gallo a dirla, si può essere certi che lui ci sarà anche oltre quella parola, che sarebbe quello che dovremmo imparare a fare tutti, mentre siamo immersi nei nostri problemi quotidiani, che ci impediscono di avere un contatto col mondo vero; così non possiamo dare un aiuto anche fisico al nostro prossimo. Ed un pochino, la miseria che ci circonda, ha ragione di esserci per colpa di tutti. È un’enorme responsabilità suddivisa per ciascun individuo, proporzionalmente alla sua importanza nella scala sociale.
Don Andrea Gallo ci dà un esempio concreto di partigianeria e coerenza, del perseguimento di una strada che insegue un ideale preciso ed universale, che è quello innegabile dell’uguaglianza e del riscatto sociale, un ideale di società non più fondato sul gap economico e sulla sofferenza. Personalmente mi trovo particolarmente d’accordo con lui sul fatto di attribuire all’indifferenza il titolo di ottavo vizio capitale; addirittura, al giorno d’oggi, ritengo che sia il più grave - includendolo - tra tutti i vizi capitali. Molto bella, tra le altre cose di cui parla, la riflessione sulla pazzia: “chi è pazzo e chi non lo è? […] spesso il pensiero e la sensibilità hanno in cima la follia. Spesso il matto è un saggio e un sognatore […] che soffre della discordanza tra la vita logica e la vita affettiva […] spesso è una persona delusa e sola. Cos’è la ragione? Spesso una pazzia condivisa, come nel caso della guerra”.
Interessante la riflessione sulle derive autoritarie che, si spera, venga letto magari dai più giovani che presumibilmente ancora non ne avvertono le prime conseguenze perpetrate da leggi assurde, che vogliono vedere arrestate persone per cose di nessun conto, e che producono anche effetti terribili come il sovraffollamento delle carceri e l’intasamento dei processi; Don Gallo rimette, come si merita, l’omosessualità sul piano umano giuridico: non esiste il gusto sessuale di un individuo che serva per giudicarlo, un omosessuale è innanzi tutto una persona, e come tale va giudicata per come agisce, nel bene e nel male. E qui cita padre McNeil, il quale, dice Gallo, è autore di studi approfonditi che dimostrano che Sodoma e Gomorra non furono arse per i loro costumi sessuali, ma per aver mancato gravemente ai doveri dell’ospitalità. Direi che questo potrebbe essere un grande monito ai comportamenti razzisti e misogini degli stati occidentali.
Non mancano gli aneddoti divertenti, che strappano un sorriso, ma sempre inclusi in discorsi di ampia veduta umanistica.
Molto bella la chicca sull’amicizia personale che lo lega ad un famoso cantante italiano.
Don Andrea Gallo, con questo libro, ci regala decine di spunti di riflessione con i quali poter, obbiettivamente, ma solo se con onestà, valutare il nostro modo di vivere, ed allo stesso tempo ci offre uno strumento di comprensione che ci introduce all’empatia, alla comprensione profonda dei meno fortunati. Ci si sente più vicini al prossimo; non vuol dire che ci si sentirà meglio, ma forse, per chi ancora non lo ha fatto, si comincerà a prendersi delle responsabilità ed a contrapporsi alle ingiustizie. Un altro libro che stimola ad aprire gli occhi sul mondo, da una prospettiva che è quella di Don Gallo.


Caino di José Saramago


Chi è Caino, qual è lo scopo di questo racconto, che attraverso voli pindarici ci conduce su sentieri impossibili come impossibili sono i viaggi nel tempo. No, non è una domanda.
Saramago, con la maestria alle quale ci ha abituato e addentrandosi nell’argomento da perfetto ateo, stimola il ragionamento, annulla i dogmi, ci conduce sulla cresta degli avvenimenti con straordinaria efficacia evocativa e descrittiva; ed anche fin qui nulla di nuovo. Ciò che di nuovo vi può essere, in questo romanzo, è la compiutezza delle vicende, la credibilità, al di là dell’alone fantastico che le pervade. Dove stanno la giustizia e l’amore? Dove l’empatia e l’abbandono? A questi quesiti si è spinti; quesiti già presenti nel “Vangelo secondo Gesù Cristo”, e che trovano, anche qui, motivo di riflessione, ma con l’elemento diverso ma non meno importante del rapporto personale tra Caino e Dio, ma in quanto fautore dei destini di altri. Quindi Caino, a differenza di Gesù, che fu coinvolto in prima persona, ed era del suo destino di cui si parlava principalmente, trova la dimensione di spettatore nel teatro di distruzione e morte che, per un puro fatto dialettico che lo ha portato ad un patto con Dio, non lo vede mai toccato in prima persona, ma lo vede attore senza che egli lo voglia, a sorpresa.
Ed è qui che ci si chiede dove possa essere la misericordia; è qui che il pensiero viene rimandato alle odierne miserie, ai crimini umani, alla sofferenza atroce che milioni di persone subiscono senza che, almeno apparentemente -  e questo credo che neppure il Papa possa contestarlo – alcun Dio intervenga per sollevarli da questo destino. È dietro alla “imperscrutabilità dell’operato” Divino che si rifugiano le religioni, ed è proprio questa “imperscrutabilità dell’operato” che Caino ( secondo me Saramago) rigetta con tutto se stesso, senza mai risparmiare il suo disprezzo o semplice critica che sia, neppure di fronte all’interessato.
Ma se l’imperscrutabilità del Signore può diventare incontestabile per i più, non lo è quella dell’uomo, che anche troppo spesso gretto e meschino, fa del comportamento scorretto quell’arma a doppio taglio che gli porta ricchezza e benessere in un primo momento, ma porta rovina e morte all’indomani del suo momento di gloria; nel frattempo avrà combinato tanti danni e causata tanta sofferenza da non meritare alcuna indulgenza.
José Saramago
Sodoma e Gomorra, da recenti studi dei quali io stesso sono da poco venuto a conoscenza, furono distrutte non a causa dei loro poco ortodossi costumi sessuali, ma bensì per aver mancato gravemente ai doveri dell’ospitalità (parole di Don Andrea Gallo su studi approfonditi di Padre McNeil, dal libro “Così in terra, come in cielo”). Ciò non dimeno giustifica la morte di bambini innocenti che, anche allora, avranno pur dovuto abitare in quelle città. Il ritratto che ne esce è quello di un Dio vendicativo, si, ma anche di un Dio che si diverte, fa scommesse col diavolo per il puro gusto di batterlo; poco importa la sofferenza che il diavolo procura agli uomini e donne nella partita; un Dio succube delle sue stesse leggi; che scatena alluvioni planetarie perché ormai il genere umano non lo adora più.
Domani?  Alluvione? Almeno nel romanzo c’è Caino che lo bacchetta.
Un quarto capitolo a luci rosse, meravigliosamente descrittivo quanto scabroso, delizierà gli amanti dell’erotismo e scandalizzerà i perbenisti più bacchettoni.


Sulla strada di Jack Kerouac


Io non so nulla della Beat Generation, ma quello che rimane, dalla lettura di questo libro, è l’inquietudine, la continua ricerca di una generazione di americani, che poi si è ripercossa in gran parte del mondo occidentale, diffondendosi poi in altre forme per poi venir schiacciata dalla deriva capitalistica che tuttora domina le società di tutto il mondo.
Certamente la strada facile alla repressione c’è stata perché è stato facile demonizzare l’uso delle droghe, l’abuso di alcol, il vagabondaggio continuo al quale si sottoponeva chi voleva farne parte; ma così facendo si è raggiunto lo scopo più subdolo, quello veramente perseguito dalle lobby di potere, che è stato ed è tuttora, quello dell’assoggettamento, del controllo su tutto e su tutti: nulla deve sfuggire alla regola che vede la popolazione come una massa di individui spersonalizzati che producono consumano e crepano.
Così facendo si è, volutamente, tralasciato il messaggio di base, che credo di aver capito, codificandolo in una spinta verso un individualismo autentico, anche e soprattutto povero, rispettoso degli altri e pieno di amore e meraviglia per le cose: un traguardo umano impossibile da raggiungere attraverso l’autodistruzione, ma ancor più impossibile da anche solamente avvicinare assoggettandosi alle regole della società, che vuole, così com’era e com’è, emarginare i soggetti più sensibili, trascurarli senza mai preoccuparsi di quello che pensano, tanto più quanto più sono intelligenti e utili a tutti le proposte che fanno.
Alla fine il viaggio e solamente una metafora; anche se Jack Kerouac li ha compiuti realmente, non si può non coglierne l’allegoria. Il bisogno di viaggiare per conoscere, per sperimentare, nel bene e nel male.
Personalmente non sono un viaggiatore, anzi, propendo naturalmente per essere stanziale e meno mi sposto meglio sto.
Ma è difficile non invidiare il bagaglio di esperienze accumulato da Sal Paradise (Jack Kerouac) e Dean Moriarty (Neal Cassady) in quei mirabolanti e sconclusionati viaggi. Le immagini che ti rimandano alle immensità dei panorami americani sono stupefacenti e reali, ma è il racconto umano che se ne fa a colpire il lettore; nonostante il ricorso continuo all’alcol, quando non alla droga, l’immagine evocativa è lucida e avvolgente; l’unico dubbio rimane per come abbia fatto, sotto l’effetto di sostanze, a ricordarlo così nitido.
Pieno di contraddizioni, di conflitti, a volte di cose senza senso, sballate, al limite dell’umanamente possibile, questo libro ci prende e ci sballotta in giro per l’America, ci diverte, ci stanca poi ci riprende, ci fa arrabbiare, ci travolge facendoci volare e poi ci rimette a terra.
Alcune volte mi sono chiesto perché lo stessi leggendo, ma ora sono contento di averlo letto.



Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern


L’orrore della guerra. Crudo, in un ricordo vivido, lucido, come raccontato all’indomani. Quello che suscita questo libro è l’angoscia autentica, quasi non sentita da chi la scrive, nel momento esatto in cui la vive. Del resto non erano passati molti anni da quella terribile esperienza, che sono sicurissimo sia impossibile da cancellare dalla memoria di chi l’ha vissuta. Scene di guerra. Eppure descrive situazioni che appaiono inconsuete all’interno di un conflitto bellico; la gente, le persone risultano capaci di reazioni impensate; ma tutto ciò rientra comunque in quell’orrore: uno sprazzo di sollievo non può curare la sofferenza immensa in cui uno scellerato e criminale progetto di conquista ci ha cacciato.
La perdita del senso della realtà legato alle condizioni estreme in cui si agisce, la sorpresa di come reagisce il proprio corpo resistendo, anche quando ormai ci si rassegna: è ora, è tempo di morire.
Ma non muore, il Sergentmagiù, va avanti; arriva a raccontarci questa follia; la follia della guerra che ancora oggi devasta con il suo carico di sofferenza e morte il nostro “civile” pianeta.
Un libro da leggere per non dimenticare; un libro da leggere per far nascere la consapevolezza che non si deve mai fare la guerra, perché spesso non si “arriverà a baita”. Scritto in maniera coincisa e scorrevole, senza fronzoli; un capolavoro culturale che non dovrebbe mancare in nessuna libreria e che andrebbe diffuso in maniera capillare nelle scuole; il Sergente Rigoni ci insegna, ci induce alla riflessione: grazie Mario. Ce n’è bisogno, oggi forse più che mai.
Devo però ringraziare anche Marco Paolini, che qualche tempo fa’, con il suo spettacolo teatrale omonimo del libro, mi ha tenuto incollato alla televisione, facendomi scoprire Mario Rigoni Stern, che intervenne egli stesso allo spettacolo, mancando poi di li a poco tempo.
Molto bella anche la postfazione di Eraldo Affinati che svela qualche retroscena del libro che non potrà sfuggire ai lettori più attenti, per poi concretizzarsi nella lettura finale dello scritto di Affinati.



La malapianta di Nicola Gratteri

La prima cosa che colpisce è la dedica: “Ad Antonino Scopelliti, per non dimenticare”.
Questa è una grande premessa che introduce il racconto, sempre realistico e privo di retorica; un racconto di cose vere ma che spesso sembrano parti di un film dell’orrore. Ci si accorge, già dalla prefazione (prefazione di Stefania Pellegrini), dell’enorme stima reciproca che c’è tra Antonio Nicaso e il magistrato che ha all’attivo più di vent’anni di lotta contro la mafia calabrese.
“Garbo e rigore”, come dice la Pellegrini, è la maniera in cui vengono spiegati i fatti - esattamente i fatti, non le illazioni - in questo straordinario racconto; il tentativo è quello nobile di risvegliare le coscienze, nella speranza di sconfiggere l’indifferenza, quella tanto odiata da Gramsci e da chi, come lui, vorrebbe una società che partecipi alla vita politica del paese; indifferenza, passività, cedevolezza che hanno permesso al fenomeno ‘ndrangheta di crescere a dismisura, arrivando ad essere un fenomeno mondiale senza precedenti, nel quale convivono tutti i poteri: politico, economico ma anche religioso.
Le spiegazioni sono spesso strane ma non di meno veritiere; strane perché si legano a miti come, ad esempio, quello di “Osso Mastrosso e Carcagnosso” con il conseguente rituale di iniziazione; ma i legami che ne conseguono sono legami di sangue e di morte, legami che portano giù, nel baratro, la società tutta; e accade con la tacita accondiscendenza di noi tutti, che rimaniamo indifferenti se non impauriti, di fronte alle intimidazioni che subiscono quelli che si oppongono; rifiutando addirittura le evidenze, anche l’informazione manipola i fatti allontanandoli dalla verità, presumendo, anziché nominandoli come fatti acquisiti, le trattative tra mafia e Stato.
Girando mezzo mondo Gratteri ha indagato le sfaccettature della mafia come nessun altro, ed attraverso questo libro cerca di sensibilizzarci; ci dice che nessun posto è al sicuro se tutti non collaboriamo per la sua sconfitta; ci dice che il vantaggio di oggi sarà la disfatta di domani, ed a suffragio di questo sono gli esempi che ci portano puntualmente all’omicidio, alla bancarotta, alla vita in clandestinità.
Questo libro si potrebbe chiamare “saggio”, in quanto è un prontuario delle malefatte, delle collusioni e delle diramazioni familiari, con nomi e località che aiutano a capire meglio l’ambiente mafioso, ma si può anche dire che è narrativa, per come si dipanano le storie e per come si collegano tra di loro; si può, in fine, leggerlo come un’intervista, quasi giornalistica, non fosse per le risposte che non hanno il limite di dover essere contenute in una o due pagine, ma che possono spiegare fino in fondo, soddisfando la curiosità dell’interlocutore, le complessità alle quali è arrivata la mafia per espandersi, attraverso le collusioni, le tolleranze, gli interessi di pochi; attraverso l’indifferenza di noi tutti.



Non è un paese per vecchie di Loredana Lipperini


Il libro ha il pregio di fornire un’ampia scala di grigi con la quale misurare la vastità e la differenziazione della discriminazione sessuale; che si accentua in una sua variante che è quella dell’età. Ma va oltre.
Aprendosi con un esempio pubblicitario datato anni ’60, evidenzia come, con l’andare degli anni, anche la classe dirigenziale, per non perdere il potere, abbia dovuto fare in modo e maniera di mantenere il potere; e lo ha fatto pilotando il desiderio delle persone, arrivando al punto di annullare il vantaggio - tanto declamato negli anni ’60 - dell’essere giovani a favore di uno status più attempato, che Lipperini chiama “new kind of generation”.
In realtà io penso che, anche in quegli anni, si fosse ben consci che il potere non avrebbe mai potuto dare spazio ai giovani, altrimenti avrebbe dovuto abdicare allora.
Penso piuttosto ad una strategia di marketing che vedeva, in quel modo di fare pubblicità, il solo incremento dei profitti, individuando quella che si può chiamare la tendenza di quel periodo storico, molto improntato sulla crescita e sull’innovazione.
I risultati di un modo di fare - politica, pubblicità, informazione - che non tenesse conto delle implicazioni future, in una cieca rincorsa al profitto, li abbiamo sotto gli occhi; sono sfociati in un’inadeguatezza sociale globale dei governi, che non si sono mai fatti carico, nonostante abbiano avuto un ruolo rilevante con il lassismo ed il permissivismo nei confronti delle multinazionali, dei terribili contrasti, sempre più evidenti in quanto larghi, tra ricchi e poveri, che lentamente stanno cancellando la cosiddetta middle class a favore dei ricchi, aumentando l’incomprensione tra la gente e gettando i semi per la xenofobia e le intolleranze in genere, compresa quella di genere e quella di età. 
Da qui, un correre ai ripari, da parte dei gruppi di potere, cercando di delineare, appunto, una new kind of generation con la quale giustificare la permanenza al potere; se non ché anche questa nuova tipologia sta invecchiando, ma non perdendo la voglia di rimanere al posto di comando. 
Man mano che lo si legge - tornando al libro - la costruzione didascalica lo rende poco gradevole, in quanto in poche pagine si raggruppano centinaia di citazioni ed esempi, da trasmissioni, altri libri, ma anche, più avanti, pagine di citazioni in inglese di canzoni heavy metal, che, ci dice la scrittrice, hanno ben colto il concetto di morte senza negarlo, come invece succede, e questo è chiaro per tutti, nella pubblicità,nelle fiction, ed in tutto ciò che ha a che fare con l’immaginario collettivo. L’unica eccezione alla negazione della morte lo si ha con la spettacolarizzazione che se ne fa attraverso i telegiornali ed i film dove oramai se non ci sono morti e sangue non c’è conseguimento di successo. Un’assuefazione alla violenza che di fatto anestetizza la sensibilità e rende l’evento impersonale e lontano, quasi improbabile. 
Impossibile quindi, se non altro per me, riuscire ad approfondire tutte le citazioni. Bisognerà, per tutto quanto ciò di cui si viene a conoscenza attraverso la lettura, basarsi sulla buona fede dell’autrice o, laddove se ne senta la necessità, andarsi a verificare le fonti citate. 
A parte questo aspetto elencativo, il libro però ha un merito innegabile, che è quello della denuncia dello stato delle cose, che normalmente travalica la discriminazione di genere, ma che ne fa un’onda portante, attraverso la quale invadere l’immaginario collettivo cambiandolo ad insaputa di chi ne è soggetto; ed a poco serve che tanta gente sia conscia di come vanno le cose: rimangono, almeno fino ad ora, come voci isolate in una foresta di abeti, inermi di fronte alle motoseghe dei tagliaboschi. 
La fuga dagli stereotipi sarebbe auspicabile proprio per avere una vita più giusta, ma anche per non cadere sempre preda del confronto; temo che non sia attuabile senza un livello di cultura medio che ancora tarda a venire, e non certo per colpa della gente; la società, così come è impostata oggi, sui falsi valori di competitività e bellezza fisica, portano alla sopraffazione del ceto che non si può permettere lussi, che non ha la voce per farsi sentire, o che, quando ci riesce, ben presto viene zittito. 
Mi sono piaciute molto le citazioni di José Saramago, che nel 1998 disse:
«se io penso che sia un errore fare della gioventù un valore,neanche vorrei che si pensasse che sto dicendo che la vecchiaia è un valore, perché non lo è. Valori lo sono, quando lo sono, gli esseri umani, indipendentemente dagli anni che hanno.»
Ed e stato stupendo trovare l’intervista, grazie all’indicazione del libro, di Saramago alla trasmissione “Parla con me”. L’unica cosa è la data sbagliata: nel libro si fa riferimento al 16 ottobre 2009, mentre la trasmissione, che ha avuto l’onore di ospitare José Saramago, e del 15 ottobre 2009.


Il Vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago

Che cosa fa di noi dei buoni cristiani? Certamente essere coscienti dei limiti terreni del nostro corpo ci induce a comportarci in una certa maniera, ma non per tutti, questa maniera è uguale. C’è chi, ad esempio, sentendo di non avere, dopo la morte, nessuna altra vita a disposizione, crede di avere il diritto di comportarsi come meglio gli aggrada; crede che facendo tutto quello che gli passa per la testa, avrà, per lo meno, soddisfatto le sue voglie e morirà tranquillo e appagato. C’è invece chi, anche non credendo nello spirito, ritiene di dover rispettare tutte le altre persone, le regole e le leggi del vivere civile; chi si spinge ancor più in là, e vuole preservare la natura e rispettare pure gli animali, e l’ambiente in cui viviamo, noi e loro. E che dire di quelli che, ferventi cristiani cattolici, uccidono, rubano, spesso membri di organizzazioni mafiose, trovano giustificazioni quanto meno fantasiose per i loro delitti? Nulla. Certo condanniamo, ma non risolviamo il problema legato strettamente alla coscienza che ognuno di noi ha di un certo fatto, comportamento, modo di agire. 

Spesso si dice “incoscienza”, ma non è così. E’ una coscienza diversa, che deriva da una mancanza oggettiva, e spesso dovuta ad una mancanza di mezzi per raggiungerla, da una coscienza empatica, la sensibilità della persona verso fatti che non la riguardano da vicino, che le permettono di intercalarsi nelle vicissitudini altrui, per far si che i problemi di uno siano anche i problemi di tutti, e nel far questo ci si adoperi nel trovarne la soluzione che permetterà tutta la specie, ed all’ambienta che la ospita, di preservarsi.
Spesso, nella mia vita, ho cambiato idea sulla divinità, questo soprattutto in gioventù; ma anche ora mi interrogo sovente. Farò bene? Farò male? Nessuno può dirlo, nessuno. E’ però assolutamente legittimo. Con il libro “Il Vangelo Secondo Gesù Cristo”, Saramago pone, o meglio, io credo che ponga, l’Uomo di fronte ad un quesito importante: come vivere la propria vita cessando di essere succubi del sentire comune, liberandosi delle catene che sono le usanze e le dottrine, i dogmi, il pensiero dominante?
Noi siamo ciò che mangiamo e l’ambiente dove cresciamo, ma se ci vengono dati i mezzi, o i giusti impulsi, anche in ambito familiare, possiamo sviluppare una coscienza empatica che ci permetterà di avere un senso critico, non ci lasceremo sedurre dal’accidia del non far nulla quando vedremo un’ingiustizia, anche se non è fatta a noi in persona.
Ed è in quest’empatia con Gesù che si gioca la storia di questo libro; con l’empatia che si ha verso Giuseppe sin dall’inizio del libro, che apre ad un vecchio modo di concepire il rapporto tra gli uomini e le donne, ottuso e maschilista, e di questi con la Divinità, ermetica ed incurante del dolore che, spesso, provoca non senza una vena di piacere. Nello stravolgimento dei canoni cui siamo abituati sin dall’infanzia, riscopriamo una dimensione terrena, concreta, di Gesù, il quale deve misurarsi con una verità che si rivela, di molto, diversa da quella che ha imparato nelle sue frequentazioni alla sinagoga; così come è piuttosto diverso il racconto cui ci hanno abituato film e programmi dozzinali di indottrinamento, discorsi religiosi fatti da preti e papi di ogni tempo e luogo. Ma non lasciamoci ingannare dal discorso religioso. Il messaggio è che cercando di contrastare il volere di chi ha un potere immenso, sempre ci si trova a mal partito. L’unica scappatoia sarà quella di non accettare mai, fin dall’inizio, la regola che si impone a chi vuole seguire un idea ad ogni costo. Il fine non giustifica i mezzi quando il fine è un fine di sofferenza, ed a maggior ragione quando i mezzi infliggono una sofferenza, un tributo di sangue che, inevitabilmente, chiamerà altro sangue e sofferenza. Attraverso il racconto di emozioni concrete e di avvenimenti crudi ed a volte, oltre che crudeli anche efferati nel loro realismo, si smorza fino ad annientarsi, la favola del racconto di Natale, la tenerezza di un racconto che solo con l’ultimo film sull’argomento “La Passione di Cristo”, se ne è capita la gravità e la sofferenza.
Le masse non si emanciperanno mai? Anche questa è un altro interrogativo che si pone, visto che, fin dall’alba dei tempi, sempre ci sono state moltitudini che si uniformavano, allora come oggi, agli interessi di potenti che inculcavano con vari mezzi il pensiero unico. Non ci tragga in inganno il finale, che non me ne vogliate, qui svelo molto meno truculento, e dolce, rispetto a scene descritte in precedenza: suona un po’ come uno zuccherino dato dopo le bastonate inferte ad un cristiano, che vede svilito il nesso umano/divino per il quale dà la vita. Mancano tante cose alle quali ci hanno abituato anni di indottrinamento, ed altre sono solo accennate, come cosa di poca importanza. Ma la cosa strana è che non se ne sente la mancanza; la spinta finale, la morale che se ne trae, è quella che ci dovrebbe portare, per lo meno quelli che ancora neppure ci pensano, ad aprire gli occhi, a guardarsi attorno e trarre delle conclusioni proprie, prescindendo drasticamente dal pensiero maggioritario, non smorzare mai il senso critico, soprattutto verso cose che ci stanno a cuore: occupiamoci di ciò che ci circonda con lo stesso impegno con cui ci occupiamo di noi stessi; e se non ci occupiamo bene di noi stessi, impariamo ad amare, ché non significa perseguire il successo personale con qualsiasi mezzo. Se fino a questo momento abbiamo amato qualcosa con tutti noi stessi, non vergogniamoci di ripudiarlo e denunciarlo se, dopo, ci appare in tutto il suo inganno.





Il corpo delle donne di Lorella Zanardo


Già all’inizio del libro mi sono reso conto della sua enorme importanza. Il libro si apre con un aneddoto, tratto da un’esperienza vissuta dell’autrice, che fa ben riflettere sulla natura dell’evoluzione del sentire comune; del modo di comportarsi, cioè, che via via si è andato a consolidare nella gente, un modo di comportarsi, evidentemente ritenuto normale, e solo per uno spirito critico vigile al di sopra della norma (e qui mi auguro che anche io avrei agito allo stesso modo di Lorella) ritenuto assurdo. L’approfondimento che si ha con la sua lettura, della tematica già proposta dal documentario “Il corpo delle donne” è enorme. Introduce in maniera intelligente e veramente innovativa ad un modo nuovo di affrontare il problema; ricordando peraltro che il problema riguarda la società tutta, e non solo il genere femminile. Le implicazioni che un modo così stolto di fare televisione hanno sulla collettività sono eterogenee, colpiscono ai più vari livelli uomini e donne, e soprattutto i più piccoli: nella loro mancata tutela. In risalto l’inesistente applicazione delle norme, statali e auto imposte dalle tv private: decine di leggi violate e di statuti inutilmente scritti, da decenni minano la qualità audiovisiva nelle nostre case, nel totale disinteresse degli organi di vigilanza; determinando un appiattimento verso il basso, verso la più becera qualità degli spettacoli, delle pubblicità e delle scelte contrattuali sempre al ribasso, che vedono protagonisti sempre meno professionisti ma sempre più accattivanti personaggi “comuni”, che non hanno idea di come ci si comporta di fronte a milioni di persone; costituendo per molti un modello negativo che inciderà poi sulla loro qualità della vita e di chi li circonda. Come un sasso nello stagno, le onde circolari hanno ormai minato il sentire comune e la percezione di un popolo che - lo ricorda con dati anche nel libro - per un terzo (33%) non legge e non ha mai letto neppure un libro perché non ne è in grado! Questo è un libro che sprona a costruire una nuova epoca, un’epoca di consapevolezza di se e degli altri che porti ad una maturazione vera e non fittizia come ci vorrebbe la regola del mercato. La donna ha, ha sempre avuto e sempre avrà un ruolo fondamentale nella società, ruolo ostacolato di continuo probabilmente per la lungimiranza e la forza, che avrebbe portato ad una vita più giusta per tutti, con buona pace di chi invece anche ora continua ad ostacolarne l’emancipazione. Allora consiglio questo libro prezioso non solo alle donne, ma anche e soprattutto agli uomini: li aiuterà a comprendere, anche se in parte, il valore immenso che ha l’altra metà del cielo, e che senza di esso sempre più difficile sarà governare il caos inevitabile degli eventi dovuto ad una mancanza di forze; come se avessimo metà corpo paralizzato.


La mia vita dentro di Luigi Morsello

Definire questo libro interessante sarebbe estremamente riduttivo, in quanto, attraverso la visione delle carceri o meglio, di uno che ci ha lavorato per quarant’anni, a contatto con personaggi che hanno contribuito alla storia del nostro Paese, nel bene e nel male, si acquista una consapevolezza diversa di come è l’Italia oggi, una consapevolezza, se vogliamo, nuova. Arricchito da note biografiche, che vanno dal brigatista Renato Curcio agli eroi dei nostri tempi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, passando per personaggi che hanno avuto rilevanza storica anche nella gestione delle prigioni, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, descrive con un linguaggio semplice ed immediato la parabola temporale percorsa da Luigi Morsello, costellata da punti d’onore, ma anche da profonde delusioni, che lo hanno portato poi ad avere seri problemi di salute, fortunatamente ora superati, che hanno inciso non poco nella sua carriera, ma che lo hanno portato ad essere l’uomo straordinario ed instancabile che è, anche se non senza rimpianti di qualche scelta valutata sbagliata col senno di poi. In un alternarsi di vicende carcerarie, a volte incredibili anche se vere, di personaggi: dirigenti, carcerati, guardie; un su e giù per l’Italia, isole comprese, che metterebbe alla prova qualsiasi navigatore satellitare, viene da chiedersi, ad un certo punto, quanti kilometri si sia fatto lo scrittore, in quei quattro decenni di servizio. Certo è che un libro di rilevanza storica come questo non deve mancare sulla libreria di chi vuole capire meglio la nostra storia. La storia di un paese passa anche per le carceri, e mai come oggi il problema delle carceri è attuale: attraverso queste pagine si capisce che il problema viene da lontano. Un’amministrazione statale poco lungimirante che ha trascinato il problema per decenni e che continua a farlo, con quei pochi successi avuti grazie a persone come Morsello che hanno votato la loro vita a fare il possibile per cambiare le cose, ingoiando non pochi rospi, e pagandone ampiamente lo scotto. Grazie Luigi, un libro magnifico.


X (romanzo) di Cody Doctorow

Ottima sceneggiatura per un film, questo romanzo, comunque, traccia una linea guida, già come fece Orwell nel suo mitico "1984" (dal quale per inciso, anche l'autore dice di aver tratto ispirazione), del possibile scenario che si potrebbe verificare se un organo di stato troppo zelante volesse prendere in mano la situazione in un momento di allarme, infischiandosene delle regole che stanno alla base della società. Attraverso l'escalation degli eventi - molto ben narrati - si delinea l'ambientazione da inquisizione che un cittadino poco incline al sopruso ed al conformismo dovrà subire in quel poco auspicabile caso (non poi così remoto come probabilità). Lo scrittore dota, oltre che di un coraggio fuori dal comune (anche se avrà bisogno di una maturazione), anche di una capacità tecnica e di un intuito innato, che solo l'abilità del narratore rendono credibile; il tutto condito da momenti pregni di sentimento che coinvolgono in parte un lettore come me (non che io sia insensibile: semplicemente non rimango entusiasta delle effusioni amorose di due ragazzini), e momenti di tragicità familiare che - quest'ultimi - sono forse necessari per introdurre alla gravità dell'accaduto. Interessanti, e molto, le due postfazioni alla fine del libro, che introducono alla nota arte dell'hacker con decine di indirizzi internet sui quali informarsi, libri da leggere e considerazioni etiche e umanistiche. Tutto sommato un bel libro che mi ha preso con la curiosità del "e cosa accade poi?" degno di un buon romanzo giallo, nonostante non sia il mio genere.




Stronzate (bullshits) di Harry G. Frankfurt



Anche se io personalmente, diciamo come uso tra persone comuni, ho sempre pensato alla stronzata come ad un infelice modo di porsi dicendo sciocchezze, in questa analisi si mette in risalto la differenza che le sciocchezze hanno, o possono avere, rispetto alle stronzate. Queste ultime hanno, secondo Frankfurt, una valenza addirittura più pericolosa delle menzogne stesse, delle mere bugie, in quanto chi le enuncia, a differenza del bugiardo che conosce molto bene la verità appunto per negarla, rischia di perdere o perde del tutto il contatto con la realtà, in quanto "è proprio l'assenza del legame con un interesse per la verità - questa indifferenza per come stanno davvero le cose - che ritengo (Frankfurt ritiene, ndr) essenziale per la definizione di stronzate." Un saggio attualissimo che fa scoprire come l'uso delle stronzate, soprattutto da parte delle classi dirigenti (almeno questa è la mia riflessione) tradisca il loro disinteresse per i reali problemi della gente, facendo perdere anche alla gente, spesso, il senso della realtà.




Gomorra di Roberto Saviano






Questo libro descrive, purtroppo, nulla più che la realtà che ci circonda. Le uccisioni, i traffici, il malaffare collegato alla politica; tutto questo non è altro che il panorama della nostra civiltà. In molti punti ci si vorrebbe lasciare andare, scappare; o più semplicemente voltarsi dall'altra parte. Ma tutto ciò non è concesso. Non ci si può ritrarre dalla realtà. Dobbiamo chiederci come mai questo avviene: perché in nome di un effimero profitto avveleniamo noi stessi? Ma Saviano non tenta di rispondere a questa domanda che ricorre spesso nella mente del lettore. Non ce n'è bisogno. L'unica arma a contrapporsi alla logica criminale è la consapevolezza dello sbaglio intrinseco in essa.
Grande libro.





Peccatori di Antonello Caporale




Uno dei libri più significativi che abbia mai letto, dal punto di vista dell'analisi della nostra società, questo "Peccatori" traccia un profilo straordinariamente crudo e reale, uno spaccato del nostro vivere quotidiano talmente concreto nel quale in più punti ci si riconosce immediatamente. Attraverso testimonianze di persone "vere", ci si accorge via via che si girano le pagine, di vivere in una zona franca, un limbo della non legalità, e ciò può far molto male. Tuttavia è così, con la presa di coscienza, che si può arrivare ad una soluzione. Soluzione dapprima individuale, ma senza un risveglio collettivo, ben poco si potrà fare. 

Sicuramente un libro da rileggere a più riprese: la carne al fuoco è talmente tanta che si potrebbe dimenticarne dei pezzi sul fuoco a carbonizzarsi.




A riveder le stelle di Beppe Grillo
Questo saggio di Grillo ha un merito innegabile: quello di voler attuare tante cose che tantissima gente vorrebbe fossero fatte. In certi punti è quasi Marxista; pur dicendo di non essere ascrivibile a nessuna corrente politica attuale, con molte sue affermazioni dichiara di voler attuare politiche che furono care alla sinistra migliore di tanti anni fa'. Il Movimento a 5 Stelle già si è meritato un posto di rilievo nello scenario politico attuale, ed io credo che non farà troppo attendere gli effetti benefici che, un modo di fare politica staccato dalle logiche affaristiche che contraddistinguono la classe politica italiana, può apportare. La sinistra italiana si dovrà pentire di non aver accolto, quando gliene fu data l'occasione, l'opportunità di avere un programma reale, con benefici tangibili, da contrapporre a quello di un governo che, lo abbiamo visto, fa tutt'altro che il bene dei cittadini.




La guerra civile fredda di Daniele Luttazzi








Satirico, irriverente, pornografico... Ma anche storico informativo, strettamente relazionato ai fatti con citazioni e riferimenti inconfutabili e critiche assolutamente pertinenti e valide che si spostano, nel mondo politico, da destra a sinistra, senza distinzione e pietà: un calcio nel culo a tutti quelli che se lo meritano! Fantastico!




La scomparsa dei fatti di Marco Travaglio




Credete che in tv sia detto tutto? Pensate che non ci siano segreti a proposito di un giornalista o di un politico? Bene. Allora troverete una rigorosa lista di fatti inconfutabili che metteranno a dura prova la vostra fede in questa gente: sia giornalisti che politici, collusi nel non far trapelare notizie scomode. Un lavoro certosino di Marco Travaglio puntato a far aprire gli occhi al lettore. Non mancano momenti di confusione dovuti all'accavallarsi di tanti, troppi nomi, ma nulla che non possa essere risolto con la rilettura del passaggio difficile. La cosa più brutta è che qualcuno potrebbe rimanere deluso dalla presenza di nomi insospettabili: ma è molto meglio conoscere la verità piuttosto che credere alla menzogna. Una lettura importante.




Nessuna pietà - libro+CD di Marco Vichi
Splendido libricino, che non fa altro(e dico poco?)che rendere consapevole il lettore, attraverso i racconti di autori straordinari come Joy Harajo, Bernardin Evaristo, Francesco Rotondi, Luca Scarlini (il curatore dell'opera), Gianluca Coci, Gian Piero Piretto, Massimo Carlotto, Giulio Caderna, Hamid Ziarati ed Igiaba Scego, rende consapevole, dicevo, della immensa tragedia e disperazione che l'uomo getta sui propri simili. Il tutto senza mezze parole, a volte con un turpiloquio, ma pienamente giustificabile, vista la spietatezza degli eventi, nel tempo, vicini e lontani, conosciuti o meno pubblicizzati. Ma, in tutti i casi, mai portati a conoscenza delle persone con la dovuta importanza, di cui, eventi così nefasti, avrebbero bisogno, per mantenerne vivo il ricordo, ed una diffusione come storia, proprio per mantenere vigili i popoli, affinchè ci si possa premunire da una loro ricomparsa. Ne consiglio la lettura a tutti. Splendido anche il CD, con cantanti del calibro di Piero Pelù, Nicola Pecci, e musicisti come Stefano Bollani. Tutti i testi delle canzoni sono di Marco Vichi. Molto significativa l'introduzione di Carlo Lucarelli. Chi acquista il Libro+CD aiuta Emergency, l'associazione umanitaria di Gino Strada.

3 commenti:

  1. Interessante il libro di Don Gallo, mi sa che lo leggerò anche io...anche perchè io seguo Don franco Barbero della CdB di Pinerolo. Credo che siano molto simili...

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  2. Te lo consiglio, Farfallina.
    Anzi, presto avrò tra le mani anche un altro libro di Don Gallo, poi ti farò sapere, anche se è probabile che passi qualche mese perché ce ne ho una pila da leggere prima di quello.
    Sei la prima opinionista di questa pagina, benché dalle statistiche sia piuttosto frequentata.

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  3. Scusami, ma non l'avevo vista, sono sempre di corsa anche nel leggere i blog degli altri...
    Ma, con l'avvicinarsi della pensione, mi sono imposta di "rallentare" e godermi gli scritti degli amici. A 58 anni sento il bisogno di acculturarmi un pò ... :-)

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